Elisa fu colta dal tremito, e lesta lesta aprì.
Erano Simeone Halliday e con esso un fratello quacquero ch’egli presentò col nome di Finea Fletcher. Quest’ultimo era alto di statura e magrolino, di capelli rossi, ed il suo volto esprimeva la perspicacia e l’accortezza. Egli non aveva l’aria placida, mite, e un po’ rustica di Simeone Halliday; anzi, pareva pieno di avvedimento e di risolutezza, come un uomo che conosce il proprio merito e si pregia di avere sguardo sicuro. Ciò formava un singolare contrasto con le ampie ali del suo cappello e con la sua formale fraseologia.
Il nostro amico Finea — disse allora Simeone — ha scoperto una cosa di non lieve importanza per te e per i tuoi, o Giorgio; sarà bene che tu lo senta.
— Ecco il fatto, — prese a dire Finea — ed è questa una prova del vantaggio che ha, come dissi sempre, l’uomo che dorme con un orecchio teso. Iersera mi fermai a una piccola locanda isolata dove, tu ben lo rammenti, Simeone, l’anno passato vendemmo un carico di frutta a una donnona che aveva un gran paio di pendenti. Io ero stanco del lungo cammino, e dopo la cena mi sdraiai sopra un mucchio di sacchi, in un angolo, e mi copersi d’una pelle di bufalo per aspettare che il mio letto fosse pronto. Potevo forse far a meno di addormentarmi subito?
— Con un orecchio teso, però! — disse pacatamente Simeone.
— No; io dormivo di gusto, e me ne stetti così per una o due ore, affranto com’ero di stanchezza; ma quando mi riscossi un poco, mi avvidi che vi erano nella camera alcuni uomini che cioncavano e cianciavano seduti intorno ad una tavola; e siccome mi giunse all’orecchio la parola quacquero, stimai prudente, prima di alzarmi, sapere di che parlassero.
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