Finea sembrava il più sveglio della comitiva, e per ingannare il tempo della lunga sua veglia, imitava col fischio certe arie un po’ profane per un quacquero.
Verso le tre, Giorgio udì distintamente il veloce scalpitare di un cavallo a qualche distanza dietro a loro.
Tosto diè nel gomito a Finea, il quale fermò i cavalli e si pose in ascolto.
— Dev’esser Michele — egli disse — mi par di riconoscere il galoppo del suo cavallo. —
Così dicendo si alzò e tese l’orecchio ansiosamente.
Un uomo che veniva galoppando con tutta celerità comparve allora tra quelle ombre trasparenti, sopra una lontana collinetta.
— È lui, credo! — disse Finea.
Giorgio e Gim balzarono fuori del veicolo, prima di riflettere che cosa dovessero fare. Tutti restarono in un silenzio affannoso, con gli occhi rivolti dalla parte del messaggero. Esso è disceso in una valle dove più non possono vederlo, ma odono tuttora il galoppo velocissimo del cavallo.
Eccolo finalmente ricomparso sopra un’altura, già molto vicina.
— Sì, sì, è Michele, — disse Finea. — Ehi, Michele, per di qua.
— Finea, sei tu?
— Sì! Che nuove? Si avvicinano?
— Difilato dietro a noi. Sono otto o dieci furfanti ubriachi di acquavite, che bestemmiano e spumano come tanti lupi. —
In questo mentre la brezza recò ai fuggitivi un suono lontano dello scalpitare di più cavalli insieme.
— Risalite presto, figliuoli! — disse Finea. — Se dobbiamo combattere, andiamo un altro poco innanzi. —
Giorgio e Gim tornarono dentro con un salto; Finea lanciò i cavalli di galoppo, e Michele li seguì da vicino
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