Non c’era bisogno di esortazioni.
Più presto che non si dica, i fuggitivi passavano la siepe e correvano verso la rupe, mentre Michele, sceso di sella e legato il suo cavallo alla carretta, s’allontanava rapidamente.
— Avanti, avanti! — esclamò Finea, appena ebbero toccato le prime falde del dirupo e poteron vedere, al misto chiarore delle stelle e dell’alba, la traccia di un sentiero dirupato che conduceva in alto. — Su, lesti, avanti! —
Finea montava innanzi a tutti, arrampicandosi a guisa di una capra, col fanciulletto nelle braccia. Gim lo seguiva portando sulle spalle la tremante sua madre; Giorgio ed Elisa formavano la retroguardia.
Gli uomini a cavallo scesero alla siepe, e vociferando e bestemmiando balzarono di sella per seguirli.
I fuggiaschi in pochi momenti di faticoso cammino erano riusciti sopra una spianata e procedevano uno dopo l’altro per un angusto sentiero. Quand’ecco trovano interrotta la via da un burrone e da una profonda fenditura larga circa quattro piedi. Di là da questa eravi un masso perpendicolare come la muraglia d’una fortezza, e sorgeva isolato, formando un precipizio di circa trenta piedi.
Finea saltò il burrone e pose a terra il fanciulletto sopra una piccola spianata coperta di musco.
— Ora tocca a voi; saltate o siete perduti, — disse ai suoi compagni.
E questi, l’uno dopo l’altro, saltarono felicemente. Alcuni macigni ivi ammucchiati formavano una, specie di riparo che li nascondeva allo sguardo di coloro che stavano in basso.
— Bene, eccoci tutti!
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Michele Finea Giorgio Elisa
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