Elisa, Giorgio e Gim si accomodarono come meglio poterono dall’altro lato del veicolo, che si rimise in cammino.
— Che ne pensate? — chiese Giorgio a Finea, presso il quale era seduto.
— La ferita non è profonda; ma le contusioni e le scalfitture fattesi nella caduta aumentano le sue sofferenze. Egli perde molto sangue, ed insieme tutto il coraggio; ma si riavrà, e sarà per lui, lo spero, una lezione salutare.
— Sono contento di quanto mi dite; — riprese Giorgio — il pensiero di aver dato la morte ad un uomo mi sarebbe stato sempre doloroso, benché la mia causa fosse giusta.
— Sì davvero, — disse Finea — l’uccidere alcuno, uomo o bestia, è sempre una bruttissima operazione. Io fui, tempo addietro, un gran cacciatore, e posso dirti che ho veduto più di un daino ferito e moribondo guardarmi con certi occhi, che mi facevano proprio pentire di averlo ammazzato! Se poi si tratta d’un uomo, la cosa è ancor più grave, perché, come dice tua moglie, dopo la morte viene il giudizio. Perciò le idee degli Amici non mi sembrano su questo troppo severe; e considerata la mia primiera educazione, si vedrà come mi sia agevolmente conformato ai loro sentimenti.
— Che faremo di questo povero diavolo?
— Lo trasporteremo in casa di Amariah. La sua nonna, che chiamano Dorcas, è un’infermiera che non ha l’eguale; cosa innata in essa, tantoché sembra felice solamente quand’è al capezzale di un uomo che occorra medicare. Grazie alle sue curerà quindici giorni al più il tuo ferito ritornerà in gamba. —
In capo a un’ora la brigata giunse a una bella fattoria dove un’abbondante colazione era preparata.
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