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      Tale era la signora Shelby che noi abbiamo già descritta, e della quale i nostri lettori possono ricordarsi. Che se di tali donne vi è difetto nel Sud, non bisogna dimenticare ch’esse non son comuni in nessun’altra parte del mondo: nel Sud ve ne sono quante altrove; e, giova il dirlo, le condizioni speciali della società in cui esse vivono, porgono loro un’occasione mirabile di dar prova dei propri talenti domestici.
      Ma ben altra era l’indole di Maria Saint-Clare, la quale non differiva punto dall’indole che già aveva avuta sua madre. Frivola e indolente, priva di regola e di previdenza, non poteva aspettarsi che i suoi servi non fossero macchiati della stessa sua pece. Il racconto che aveva fatto alla sua cugina del disordine che regnava nella famiglia era assai veridico, quantunque non ne avesse manifestata la vera cagione.
      La prima mattina in cui miss Ofelia entrò in ufficio, era già in piedi alle quattro, e dopo aver rassettato da se medesima la sua camera, come dal suo arrivo in poi aveva sempre fatto, non senza grande maraviglia della schiava addetta al suo servizio, prese a esaminare con accuratezza armadi, gabinetti, cucina, dispensa, cantina, magazzini di cui aveva le chiavi.
      Cose nascoste fino a quel giorno nelle tenebre dovettero uscire alla luce, con grande rincrescimento dei domestici che ne levarono alte grida e non risparmiarono motteggi contro «le dame del Nord».
      La vecchia Dina, che aveva l’alta direzione della cucina, ardeva di sdegno vedendosi minacciata nei privilegi fino allora goduti.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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