Miss Ofelia dunque, dopo aver esaminato col suo occhio scrutatore e riformatore le disposizioni della casa, entrò in quell’istante nella cucina. Dina, che aveva già saputo da varie fonti qual piega prendevano le cose, risolse di star sulla difensiva, e, mettendosi a capo del partito conservatore, pure schivando un’aperta lotta, opporsi ad ogni nuovo provvedimento considerandolo come non avvenuto. La cucina era una vasta stanza con l’impiantito di mattoni, ed un gran camino all’antica che occupava tutta una parete. Saint-Clare s’era inutilmente affaticato a voler persuadere Dina che gli sostituisse dei fornelli moderni.
Nessun conservatore di qualsivoglia scuola o partito s’attenne mai così tenacemente, come Dina, agl’inconvenienti consacrati dal tempo.
Quando Saint-Clare aveva fatto ritorno dal Nord, ancor pieno di maraviglia per l’ordine e la regolarità che spiccavano nella cucina di suo zio, aveva largamente provvisto la sua di tutto quel che poteva essere di aiuto a Dina nella imitazione di quelle virtù; ma purtroppo l’aumento fattovi di cassetti e di armadi non servì ad altro che ad accrescere i tenebrosi ripostigli nei quali essa poneva alla rinfusa cenci, pettini, scarpe rotte, fiori finti di vecchi cappelli, vecchi nastri e altri oggetti che formavano la delizia del suo cuore.
Allorché miss Ofelia pose piede nella cucina, la vecchia negra non fece neppur l’atto di muoversi, e continuando a fumare tranquillamente, ne guardava con la coda dell’occhio ogni movimento, simulando bensì di essere tutta intenta a quanto facevano i negrettini intorno a lei.
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