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      Per esser giusti con Dina, dobbiamo dire che a scadenze fisse essa era invasa da un vero spirito di riforma e d’ordine. Si vedeva allora infiammata di zelo vuotar tutti i cassetti mescolandone il contenuto e aumentando la confusione. Fatto ciò, Dina accendeva la pipa e ruminava i suoi disegni d’assetto, esaminando tutto e discorrendo sopra ogni cosa, intanto che i suoi sguatteri strofinavano vigorosamente gli utensili di rame. Per più ore ferveva un disordine babilonico, e se qualcuno domandava che cosa significasse tutto quel subbuglio, essa rispondeva subito:
      — Giorno di riordinamento generale. — E soggiungeva:
      — Vi par possibile che si possa andare avanti così? D’ora innanzi, ci sarà ben altro ordine. Prenderò le misure opportune. —
      Poiché Dina s’illudeva grandemente a suo proprio riguardo: ella credeva di essere il tipo dell’ordine; e se la perfezione assoluta non era in questo proposito ancora raggiunta, la colpa era degli sfaccendati della cucina e degli altri abitanti della casa, tranne lei sola, ben inteso.
      Quando tutte le stoviglie erano finalmente lavate, quando i tavolini luccicavano di bianchezza, quando tutto quel che poteva offendere gli sguardi era stato riposto nei cantucci più oscuri, Dina vestiva il suo abito di gala, si ornava il capo di uno sfarzoso fazzoletto di seta a guisa di turbante, si metteva un grembiule decente, e mandava tutta la marmaglia fuori della cucina, perché voleva conservar le cose in buon ordine.
      Questi accessi periodici erano spesso cagione d’inconvenienti per tutto il resto della casa, perché Dina si lasciava prendere da tale amore verso il suo rame lucente, che era quasi impossibile indurla a farne uso, almeno finché l’accesso della pulizia durava nel suo pieno vigore.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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