— Zia Dina è imbronciata — disse Rosa — perché non può andare alla festa da ballo!
— Non m’importa un fico dei vostri balli di gente di colore, — replicò Dina — dove non fate altro che scimmiottare i bianchi; ma in fin dei conti, siete negri al pari di me.
— Tuttavia, Dina si unge ogni giorno la chioma cresputa per renderla un po’ più stesa, — fece Giovanna.
— Ed è fatica sprecata: quei benedetti capelli sembrano sempre lana, — soggiunse Rosa, scotendo maliziosamente i suoi lunghi e serici ricci.
— Forse che agli occhi del Signore la lana non vale quanto i capelli? — replicò Dina. — Domandate un po’alla padrona chi ha più valore: o una coppia di ragazze come siete voi, o una sola donna qual son io? Via di qui! Non vi voglio tra i piedi! —
La conversazione fu interrotta. Si udì la voce di Saint-Clare dall’alto della scala domandare a Adolfo se voleva fargli aspettare fino al domani l’acqua per la barba, e nell’istante medesimo, uscendo miss Ofelia dalla sala da pranzo, disse:
— Giovanna, Rosa, in che perdete il vostro tempo laggiù? Venite a finire le vostre faccende. —
Il nostro amico Tom, che aveva ascoltato nella cucina i lamenti della povera venditrice di pani, l’aveva seguita fuori nella via. La vide allontanarsi mandando ogni tanto gemiti mal rattenuti.
Finalmente essa collocò la sua cesta sopra gli scalini di una gradinata e cercò di aggiustarsi il vecchio scialle sbiadito che aveva sulle spalle.
— Volete far portare un poco a me la vostra cesta? — diss’egli con molta compassione.
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