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      «Inoltre mio padre aveva un soprintendente, un omaccione dall’aspetto sinistro, di polsi robusti, un figlio rinnegato dal Vermont, che avrebbe potuto mettere scuola di modi aspri e brutali, tanto era in ciò superiore agli altri. Né mia madre né io potevamo soffrirlo; ma egli aveva acquistato sopra mio padre un vero predominio. Costui dunque era il sovrano assoluto della piantagione.
      «A quel tempo ero un fanciullo; ma già mi accendeva un certo amore per la povera umanità, ed ero fin d’allora appassionato per lo studio degli uomini. Io mi aggiravo di continuo fra le capanne dei negri e per i campi in mezzo ai lavoratori, e così divenni ben presto il loro favorito e il confidente di tutti i loro patimenti e di tutti i loro reclami, che riferivo poi a mia madre; e mia madre ed io formavamo una specie di comitato per riparare le ingiustizie. Più d’una volta ci riuscì d’impedire o mitigare atti crudeli, ed eravamo lieti di tutto il bene che potevamo fare. Ma alla fine, come avviene spesso, il nostro zelo eccedette. Stubbs si lagnò con mio padre dicendo che non aveva più alcuna autorità sugli schiavi, e che era costretto di rassegnare il. suo posto. Mio padre era un marito affettuoso e indulgente, ma non indietreggiava mai dinanzi a cosa alcuna che egli stimasse necessaria; perciò pose come una barriera insormontabile tra noi e gli schiavi della piantagione. Egli significò a mia madre, in termini pieni di rispetto e di deferenza, ma abbastanza chiari ed espliciti, ch’essa era padrona assoluta degli schiavi della casa, ma che non aveva alcuna ingerenza su quelli della piantagione.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Vermont