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      Allorché Alfredo ed io facevamo vita insieme, io insistetti perché fosse data ai nostri schiavi qualche istruzione: ed egli, per contentarmi, chiamò un cappellano e fece loro insegnare la dottrina cristiana tutte le domeniche, quantunque in cuor suo pensasse, credo, che quegli avrebbe potuto catechizzare con lo stesso profitto i suoi cani e i suoi cavalli. Infatti in poche ore alla settimana di coltura intellettuale non può farsi gran cosa d’una creatura resa stupida al pari di una bestia, che passa le intere giornate a lavorare né più né meno di una macchina. I direttori delle scuole domenicali fra i proletari dell’Inghilterra e fra i negri delle nostre piantagioni hanno ottenuto qua e là il medesimo risultato. Nondimeno si osservano fra noi delle eccezioni notevoli, poiché i negri sono per loro natura più disposti dei bianchi ai sentimenti religiosi.
      — Perché — chiese miss Ofelia — vi ritiraste dalla piantagione?
      — In capo a qualche tempo, — rispose Saint-ClareAlfredo si accorse ch’io non ero nato assolutamente per una vita di quel genere. A mio fratello pareva una vera assurdità che, dopo tutte le innovazioni e riforme introdotte per compiacermi, io non fossi ancora contento. Ma il fatto è che io odiavo la schiavitù per se medesima, l’assoggettamento, il possesso di questi uomini e donne, la perpetuazione di questa ignoranza, di questa brutalità, di questi vizi, al solo scopo di trame un lucro per mio conto. Inoltre, io m’ingerivo di continuo nelle più minute particolarità, e siccome sono la più pigra creatura del mondo, ed ebbi sempre la più gran propensione verso tutti i pigri miei pari, quando quei poveracci mettevano dei sassi nelle loro ceste di cotone per farle pesare di più, oppure riempivano i loro sacchi di terra in fondo e di cotone in cima, mi pareva che io pure sarei stato capace di fare lo stesso; sì che non avevo mai il coraggio di farli frustare per così poco.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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