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      Finalmente scovammo il negro ribelle. Egli correva e saltava come un camoscio, e un istante si allontanò per un gran tratto da noi; da ultimo si accovacciò in un impenetrabile canneto. Ridotto allora agli estremi, si rivoltò, ed io posso accertarvi che impegnò gagliardamente la battaglia co’ nostri cani, ch’egli atterrava a destra e a sinistra, e ne aveva già uccisi tre coi soli pugni, quando una schioppettata lo abbatté quasi ai miei piedi. Il poveretto, ferito, alzò verso di me due occhi pieni di coraggio e di disperazione ad un tempo. Io allontanai i cani e gli uomini che gli si gettavano addosso, e lo rivendicai come mio prigioniero. Durai la più gran fatica del mondo a impedire che, nell’ebbrezza della loro vittoria, non lo accoppassero. Insistetti sulla nostra convenzione, ed ottenni che Alfredo me lo vendesse. Quindici giorni dopo egli era mite e arrendevole quanto si poteva desiderare.
      — Qual modo usaste? — chiese Maria.
      — Un modo semplicissimo. Lo feci trasportare nella mia camera, diedi ordine di preparargli un buon letto, medicai le sue ferite e lo curai io stesso fino alla sua guarigione. Io avevo intanto preparato per lui un atto di emancipazione, e gli dissi che poteva andare dove gli piacesse.
      — E se ne andò? — chiese miss Ofelia.
      — No; quel pazzo stracciò l’atto d’emancipazione, e non volle a nessun patto abbandonarmi. Io non ebbi mai un servo migliore, né più fedele e zelante. Di poi egli si fece cristiano, e divenne docile come un fanciullo. Gli diedi l’incarico di sorvegliare la mia abitazione in riva al lago, e fui ben contento del suo servizio.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Alfredo Maria Ofelia