— È vero! Ma io sono tanto malvagio... per adoperare le parole di Topsy. —
A questo modo procedette per un anno o due l’educazione di Topsy.
Miss Ofelia non si stancò; ella si avvezzò al suo ufficio di pedagogo, come altre persone s’avvezzano alla nevralgia e alla emicrania.
Saint-Clare poi si prendeva il medesimo spasso di quella fanciulla che altri si prenderebbe dei giuochi di un pappagallo o di un cagnolino. E Topsy, ogni volta che le sue furfanterie suscitavano qualche tempesta, rifugiavasi presso la seggiola del padrone, il quale, o in un modo o nell’altro, la faceva perdonare. Da lui ella buscava spesso piccole monete d’argento, e con quelle comperava noci e confetture, ch’ella distribuiva anche agli altri fanciulli di casa; perché Topsy, dobbiamo renderle questa giustizia, benché fosse dispettosa verso chi l’offendeva, aveva buon cuore.
Ed ora che l’abbiamo introdotta sulla scena, vi farà la sua parte di quando in quando con gli altri attori.
XXI.
NEL KENTUCKY.
Non increscerà al lettore di ritornare per breve tempo alla capanna dello zio Tom, nella fattoria del Kentucky, e sapere che cosa avvenisse fra coloro che vi abbiamo lasciati.
Era il tramonto d’un giorno estivo; gli usci e le finestre dell’ampia sala erano spalancati, come per accogliere i soffi erranti del venticello che avessero la voglia di entrare. Il signor Shelby stava adagiato sopra un seggiolone, tenendo le gambe sopra una sedia, e fumava il sigaro del dopopranzo.
Sua moglie, seduta accanto all’uscio, attendeva a un lavoro d’ago con l’aria pensosa di chi sta cercando il destro per entrare in un argomento che gli stia molto a cuore.
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