— Che vedo, Dodo, cane poltrone che sei! Tu non l’hai strigliato stamani!
— Sì, padrone; — riprese Dodo con voce umile — ma or ora s’è coperto di polvere.
— Taci, briccone! — gridò con impeto Enrico alzando il frustino. — Come ardisci parlare? —
Il mulatto era un bel giovinetto della medesima statura di Enrico; gli occhi suoi sfavillavano, e ricciuti capelli gli ombreggiavano la fronte alta e ardita. Per fermo anche nelle sue vene scorreva il sangue dei bianchi, come lo attestò il rossore improvviso delle sue guance e il fiammeggiar dei suoi occhi mentre parlava.
— Padrone Enrico... — cominciò.
Ma Enrico lo percosse in volto col frustino, poi lo afferrò per le braccia, e facendolo cader ginocchioni, lo batté con quanta forza ebbe.
— Prendi, furfante! Così imparerai a non rispondermi quando io ti parlo. Riconduci via questo cavallo, e ripuliscilo. T’insegnerò io a fare il tuo dovere!
— Mio giovane padrone, — disse Tom ad Enrico — credo ch’egli volesse dirvi che il cavallo, il quale è tutto fuoco, come sapete, s’è svoltolato per terra all’uscire dalla stalla, ed in tal modo appunto s’è coperto di polvere. Io stesso l’ho veduto stamani quando lo strigliava.
— Tenete a freno la vostra lingua, voi, finché non siate interrogato, — riprese Enrico.
E voltandogli le spalle risalì le scale della veranda per raggiungere Evangelina, che era vestita per cavalcare.
— Cuginetta mia, — le disse — m’incresce che a cagione di quell’imbecille dobbiate aspettare. Poniamoci a sedere su questa panca finché egli non torna.
| |
Dodo Dodo Enrico Enrico Enrico Enrico Tom Enrico Enrico Evangelina
|