Ma che c’è, cugina? Avete un’aria molto triste.
— Come avete potuto essere così cattivo e crudele con quel povero Dodo? — disse Evangelina.
— Crudele? Cattivo? — riprese il giovane, affettando maraviglia. — Che cosa intendete di dire, cara Eva?
— Quando vi comportate in tal modo, gradirei che non mi chiamaste «cara Eva».
— Mia cara cugina, voi non conoscete Dodo; è quello il solo mezzo di governarlo; egli è pieno di menzogne e di scuse. Per tenerlo a freno, bisogna chiudergli subito la bocca. Anche il babbo fa lo stesso.
— Ma lo zio Tom vi ha detto che fu un caso, e lo zio Tom dice sempre la verità.
— E dunque un negro che non ha molti simili, questo vostro zio Tom? Dodo non apre bocca che per mentire.
— Lo costringete a mentire per paura, trattandolo in tal modo.
— In verità, Eva, siete mossa da sì bella affezione per Dodo, ch’io sto per diventarne geloso.
— Voi l’avete percosso senza ragione.
— Bene, vada per una delle volte che egli meritò le frustate senza riceverle. Dodo è un monello, ve lo assicuro io; ma non lo batterò più in vostra presenza, poiché una tal vista vi affligge. —
Evangelina non era sodisfatta; ma invano tentò di far comprendere i suoi sentimenti ad Enrico.
Dodo comparve ben presto riconducendo i cavalli.
— Questa volta hai fatto le cose un po’ meglio; — gli disse il suo giovane padrone, con aspetto più grazioso — vieni: reggi il cavallo di miss Eva, mentre io l’aiuto a mettersi in sella. —
Enrico, che si pregiava molto di nobile destrezza in ogni sorta di servigi galanti, adagiò in sella la graziosa cugina, e raccolte le redini gliele consegnò.
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