Nessun altro, credo, può amarlo.
— Per qual motivo voi non potete amarlo? — domandò Evangelina.
— Amar Dodo!... Voi non vorreste mica che io amassi Dodo, Eva! Può darsi ch’egli mi piaccia assai; ma forse che voi amate i vostri schiavi?
— Sì, io li amo, ve l’assicuro.
— Che stranezza!
— La Bibbia dice che dobbiamo amar tutti come noi medesimi.
— Oh, la Bibbia dice molte cose di questo genere; ma, come ben sapete, nessuno si cura di porle in opera! —
Evangelina non rispose, e i suoi occhi restarono per un momento fissi e pensosi.
— Ad ogni modo, — disse poi — caro cugino, ve ne prego, amate il povero Dodo e siate buono con lui, per amor mio!
— Non c’è cosa ch’io non possa fare per amor vostro, cugina, perché voi siete la più amabile creatura ch’io abbia mai veduta.
— Vi ringrazio, e spero che non vi dimenticherete della vostra promessa. —
In questo punto la campanella del pranzo pose fine ai loro discorsi.
XXIV.
TRISTI PRESAGI.
Due giorni dopo, Alfredo e Agostino Saint-Clare si separarono, ed Evangelina, che stimolata dalla compagnia del cugino si era affaticata più di quanto lo comportassero le sue forze, cominciò a declinare rapidamente. Agostino si risolse alfine di ricorrere al consiglio dei medici: cosa da cui aveva sempre rifuggito perché era come ammettere una verità dolorosa. Ma Evangelina era stata così male, che per uno o due giorni non poté uscire di casa, e, come abbiamo detto, il medico fu chiamato.
Maria Saint-Clare, occupata unicamente a studiare due o tre nuove malattie immaginarie dalle quali si credeva affetta, non si era nemmeno accorta come Evangelina andasse di giorno in giorno deperendo.
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