— riprese Evangelina mestamente. — Ma non avesti mai fratelli, sorelle, zie...
— Nessuno, nessuno.
— Ma se tu ti sforzassi a divenir buona, Topsy, forse ti riuscirebbe.
— E quando fossi buona, sarei pur sempre una negra! Se mi si levasse la pelle nera e potessi divenir bianca, oh, allora mi proverei!
— Ma la gente può amarti anche se sei negra, Topsy. Miss Ofelia ti amerebbe, se tu fossi buona.
Topsy fece quel ghigno con cui era solita esprimere la sua incredulità.
— Non lo credi? — domandò Evangelina.
— No; miss Felia non mi può soffrire perché sono una negra. Avrebbe meno orrore di toccare un rospo. Nessuno può amare i negri, e i negri non possono far nulla di bene. Ma che me n’importa!
E Topsy si pose a fischiare.
— Oh, Topsy, povera fanciulla! Io ti amo! — esclamò Evangelina con subitaneo scoppio di tenerezza, ponendo la sua manina bianca e scarna sopra la spalla di Topsy. — Io t’amo perché non hai né padre, né madre, né amici, perché fosti una povera fanciulla maltrattata, abbandonata; t’amo, e vorrei vederti buona. Io sono molto malata, Topsy; credo che non vivrò più a lungo, e mi duole veramente che tu sia tanto cattiva. Prova ad esser buona per amor mio, nel poco tempo che rimarrò ancora con te. —
Gli occhi rotondi e vivacissimi della negra si riempirono di lacrime che caddero ad una ad una sulla piccola e bianca mano. In quell’istante un raggio di vera fede e di amor celeste penetrò nelle tenebre di quell’anima pagana. Con la testa piegata tra le ginocchia, ella pianse e singhiozzò, mentre la bella fanciulla, china su lei, sembrava un angelo rifulgente chino per sollevare un peccatore.
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