Su quella tavola erano i libri e il calamaio di Eva. V’era infine nella camera un caminetto di marmo, e su quello una bellissima statuetta del Redentore in atto di accogliere i fanciullini. Ai lati, vasi di marmo nei quali Tom si onorava e deliziava di mettere ogni mattina mazzi di fiori. Due o tre bellissime pitture rappresentanti fanciulli adornavano le pareti.
Insomma, dovunque l’occhio si volgesse incontrava simboli d’innocenza infantile, di bellezza e di pace. Nell’aprir gli occhi alla luce del giorno Eva riceveva impressioni soavi.
La forza apparente che sosteneva la fanciulla dileguò ben presto. Il suo lieve passo si faceva sentire sempre più di rado sulla veranda, poiché ormai ella se ne stava quasi sempre adagiata sulla poltrona, presso la finestra spalancata, coi grandi e profondi suoi occhi fissi sulle acque del lago.
Mentre ella stava così adagiata, sulla metà del pomeriggio, con la Bibbia aperta sulle ginocchia, le dita trasparenti fra le pagine di essa, udì all’improvviso la voce di sua madre che gridava sulla veranda, più aspramente del solito:
— Che hai fatto? Che nuova bricconata ti proponi? Hai còlto i fiori, eh? —
E nel medesimo tempo Evangelina sentì il suono d’uno schiaffo.
— Perdono, signora, questi fiori sono per miss Eva! — rispose la voce di Topsy.
— Miss Eva! Bella scusa! Credi che Eva abbia bisogno dei tuoi fiori, negra buona a nulla che sei? Via subito di qua! — Evangelina balzò dalla poltrona ed uscì sulla veranda.
— Oh, mamma, mi piacciono tanto i fiori!
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