Era lo sguardo tranquillo e intelligente di un’anima già mezza distaccata dai suoi legami terreni. Essa parve allora comprendere e sentire la differenza che correva tra l’uno e l’altro dei suoi genitori.
Fece cenno con la mano al padre; egli venne, e le si sedette accanto.
— Babbo, io divento ogni giorno più debole, e sento che me ne vado. Ho bisogno di dirti e di fare alcune cose, e tu non vuoi udir parola su tal soggetto. Ma bisogna pur che tu mi ascolti: non v’è tempo da perdere. Consenti che ne parli adesso?
— Figliuola mia, lo consento, — disse Saint-Clare, coprendosi gli occhi con una mano, mentre con l’altra teneva quella d’Evangelina.
— Io desidero dunque di veder qui tutti i nostri servi. Ho da dir loro qualche cosa.
— Ebbene, — disse Saint-Clare con voce che parve un gemito — sia pure. —
Miss Ofelia spedì subito un messaggero, e tosto la moltitudine dei servi s’adunò nella camera.
Evangelina era sostenuta dai guanciali; intorno al viso le ondeggiavano i capelli, e le guance vivamente colorite formavano un doloroso contrapposto con la bianchezza della sua pelle e la magrezza delle sue forme.
Evangelina si sollevò alquanto e guardò a lungo e fissamente intorno a sé. Ciascuno appariva pieno di tristezza e d’ambascia. Parecchie donne si coprivano il viso coi grembiuli.
— Vi ho fatto chiamar tutti, miei cari amici, — disse Evangelina — perché vi amo. Io vi amo tutti; e ho da dirvi cosa della quale vorrei che vi ricordaste sempre. Io sto per abbandonarvi; fra pochi giorni non mi vedrete più! —
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