Poi soggiunse:
— Tom, figliuolo mio, il dolore mi uccide! —
Tom teneva strette nelle sue mani quelle del padrone.
Il suo nero viso era inondato di lacrime, ed egli guardava in alto, in atto di chiedere aiuto a chi solo poteva darlo.
— Prega che questa prova sia breve; — disse Saint-Clare — mi spezza il cuore!
— Benedite il Signore! E già passata, padrone. Guardatela adesso. —
La fanciulla riposava ansante sopra i guanciali, come persona stanca. I suoi grandi occhi sereni erano immobili, volti al Cielo. Che mai dicevano quegli sguardi che parlavano tanto del Cielo? La terra e i suoi dolori non esistevano più per essa; ma l’espressione di quel viso era sì solenne, sì misteriosa, sì splendida, sì trionfante, che non permetteva al dolore di singhiozzare.
Tutti si raccolsero intorno a lei e stettero calmi a contemplarla.
— Eva! — disse Saint-Clare con tutta dolcezza. Ella non udì.
— O Eva, dimmi: che cosa vedi? —
Uno sfavillante e beato sorriso rischiarò il suo volto, ed essa mormorò:
— Amore!... Gioia!... Pace!... — Diede un sospiro, e dalla morte passò alla vita. Addio, fanciulla amata! Le porte del Cielo si sono chiuse sopra di te; noi non vedremo più il dolce tuo viso. Oh, sventurati coloro che assistettero al tuo entrare nel regno celeste e che, tornando con lo sguardo al terrestre soggiorno, troveranno la fredda e torbida atmosfera della vita che tu hai abbandonata!
XXVII.
TRISTI MEMORIE.
Le statuette e le pitture della camera d’Evangelina furono celate sotto bianchi veli; il silenzio non era ivi turbato se non da alcune parole mormorate a voce sommessa, dal fruscio d’un piede leggero sui tappeti, e la luna vi penetrava attraverso le persiane abbassate.
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