Saint-Clare fu vivamente commosso alla vista, di quel libretto avvolto in una lunga striscia di velo nero staccato dall’addobbo dei funerali.
— Perché — disse Saint-Clare, tenendo quella striscia — hai ravvolto qui dentro cotesto libro?
— Perché... perché... era di miss Eva. Oh, per carità, non me lo togliete! —
E detto ciò Topsy sedette sul pavimento, si avvolse il capo col grembiule, e si diede a singhiozzare di nuovo.
Era uno strano miscuglio di bernesco e di patetico, quella vecchia soletta, quel pezzo di velo, quel libretto, quella ciocca di capelli biondi, e la disperazione di Topsy.
Le labbra di Saint-Clare si mossero a un sorriso, ma egli aveva le lacrime agli occhi quando disse alla fanciulla:
— Via, non piangere: non ti si toglierà nulla! — E raccolte tutte quelle cose le pose sulle ginocchia a Topsy, e trascinò seco miss Ofelia nel salotto.
— Credo davvero che potrete condurre a bene quella creatura, — disse alla cugina ponendole le mani sulle spalle. — Il cuore che è capace di un vero dolore è capace di bene. Provatevi e riuscirete.
— La ragazza è già molto migliorata, — rispose miss Ofelia — ed io ne spero bene. Ma, Agostino, — ella soggiunse ponendo la mano sul braccio di Saint-Clare — permettetemi di farvi una domanda: a chi appartiene essa, a voi o a me?
— Io ve l’ho data, — disse Agostino.
— Ma non legalmente; io desidero che Topsy sia mia legalmente.
— E che dirà mai la società abolizionista? — esclamò Saint-Clare. — Sarà costretta a istituire un giorno di digiuno per piangere la vostra diserzione, se voi diventate posseditrice di schiavi.
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