— Poco monta; io desidero ch’essa mi appartenga in piena regola, per poterla condurre negli Stati liberi ed emanciparla legalmente; se no non potrei compiere quello che mi sono proposta.
— Oh, cugina, che orrenda cosa fare il male perché ne consegua il bene! Io non posso incoraggiare il divisamento vostro.
— Lasciamo da parte le celie; è inutile sparger semi di pietà nel cuore di questa fanciulla, se io non la salvo da tutti i rischi e da tutte le miserie della schiavitù. Qualora vogliate veramente farmene dono, rilasciatemi un atto, una scrittura legale.
— Bene, bene, — disse Saint-Clare — lo farò. —
E spiegato il suo giornale sedette per leggere notizie.
— Ma io desidero che lo facciate ora, — soggiunse miss Ofelia.
— Che fretta avete!
— L’ora presente è la sola in cui si abbia la certezza, di far le cose, — disse miss Ofelia. — Venite qui: eccovi carta, penna e inchiostro; scrivete. —
Saint-Clare, come tanti altri della sua indole, detestava cordialmente quel far subito le cose, e perciò gli fu assai molesta,.
— Che vuol dir questo? La mia parola non vi basta forse? Si direbbe che avete imparato da un ebreo a tormentare un pover’uomo.
— Voglio assicurare i miei diritti. Voi potete morire o perdere ogni bene di fortuna, ed allora Topsy sarebbe venduta all’incanto, e a nulla gioverebbero tutti i miei sforzi.
— In verità, voi siete tutta previdenza. Ebbene, poiché sono caduto nelle mani di un’americana del Nord, bisogna pure che io ceda. —
E Saint-Clare, versatissimo nelle forme legali, scrisse rapidamente un atto di donazione che munì della sua firma in lettere maiuscole, circondata di un bel ghirigoro.
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