— Non so — disse poi — perché penso tanto a mia madre stasera. Io la sento, come s’ella fosse vicina a me; e mi ricorre alla mente tutto quello ch’essa era solita dirmi. È strano come le cose trascorse ci tornano talvolta così vive e così vere dinanzi! —
Saint-Clare, dopo aver passeggiato per alcuni minuti in su e in giù per la sala, disse:
— Vado a fare un giro per la città, per informarmi delle notizie della sera. —
E preso il suo cappello andò fuori.
Tom lo seguì fino alla porta del cortile e gli domandò se dovesse accompagnarlo.
— No, Tom; sarò di ritorno fra un’ora. —
Tom si pose a sedere nella veranda.
Era un bellissimo chiaro di luna, ed egli stava guardando lo zampillare dell’acqua della fontana che ricadeva in gocciole scintillanti, e pareva che porgesse l’orecchio al leggero mormorio di quella. Intanto correva col pensiero ai suoi cari, giubilando all’idea di esser presto libero e di tornare nel seno della sua famiglia; egli pensava con gioia che avrebbe potuto consacrare i frutti del suo lavoro a riscattare sua moglie e i suoi figli.
In questa contemplazione Tom s’addormentò e vide Evangelina appressarglisi in sogno, saltellando come già soleva, cinto il capo d’una ghirlandina di gelsomini, accese le guance, gli occhi raggianti di gioia; ma mentre egli guardava, gli pareva ch’ella s’involasse dalla terra; un pallore le velava le guance; gli occhi di lei lanciavano una luce divina; un’aureola d’oro le circondava la fronte. A un tratto la visione si dileguò, e Tom fu svegliato da forti colpi e dallo strepito di molte grida alla porta.
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