— Madre mia!... — Indi spirò.
XXIX.
LA DEBOLEZZA SENZA APPOGGIO.
Udiamo spesso parlare del gran dolore da cui sono trafitti gli schiavi che perdono un buon padrone; e in verità non c’è sulla terra creatura più derelitta e più misera dello schiavo in tali circostanze.
Al fanciullo che perdette suo padre resta ancora la protezione degli amici e quella delle leggi; egli è qualche cosa, egli può qualche cosa; ha un grado e diritti riconosciuti. Lo schiavo non ha nulla. La legge lo considera, sotto ogni aspetto, non altrimenti che come una balla di merce. Questa creatura umana, immortale, non deve aver affetti e bisogni se non quelli che la volontà assoluta del padrone gli concede di avere; e quando questo padrone più non esiste, nulla più resta allo schiavo.
Appena Agostino Saint-Clare mandò l’ultimo sospiro, il terrore e la costernazione s’impadronirono di tutti i suoi servi.
Egli era stato abbattuto in tutto il fiore e la vigoria dei suoi giovani anni! In ogni lato della casa rimbombarono gemiti e grida di dolore disperato.
Maria, il cui sistema nervoso era stato rovinato dalla stessa soverchia cura ch’ella aveva avuta continuamente della sua persona, non aveva più alcuna forza per sostenere quella sventura terribile, e nel momento che suo marito spirò, ella passava da uno svenimento a un altro; di modo che quegli che le era stato unito nei vincoli sacri del matrimonio, si separava da lei senza che gli fosse possibile di rivolgerle neppur una parola d’addio.
Miss Ofelia, con la forza d’animo e con la padronanza di se medesima che le erano proprie, era rimasta sino alla fine al fianco del suo congiunto, tutta occhi, tutta orecchi, tutta attenzione, facendo per lui quel poco che poteva farsi, e unendosi con tutta l’energia del suo cuore alle fervide preghiere del povero schiavo per l’anima del suo padrone morente.
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Agostino Saint-Clare Ofelia
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