— Vedete, miss Felia, — continuò Rosa — non m’importerebbe poi tanto d’essere frustata, se foste voi o miss Maria che lo faceste; ma esser mandata ad un uomo, a quell’orribile uomo! Che vergogna, miss Felia!
— Sedetevi qui, figliuola mia, intanto ch’io vado dalla vostra padrona. — E miss Ofelia si allontanò.
— Che onta! Che mostruosità! Che infamia! — diceva fra sé nel traversar la sala.
Miss Ofelia trovò Maria mollemente adagiata sul suo comodo seggiolone; Mammy le stava aggiustando i capelli; Giovanna, seduta in terra dinanzi a lei, le scaldava i piedi.
— Come state oggi? — le domandò miss Ofelia.
Maria mandò un gran sospiro e chiuse languidamente le palpebre; tale fu, per un istante, la sua sola risposta alla domanda di miss Ofelia.
Finalmente si degnò pur di rispondere:
— Oh, non lo so, cugina! Credo di star sempre lo stesso, e che non starò mai meglio. —
Sì dicendo s’asciugò gli occhi con un fazzoletto di tela batista, cinto tutto all’intorno da una larga striscia nera.
— Vengo, — proseguì miss Ofelia con quella piccola tosse asciutta con cui s’affronta di solito un soggetto difficile — vengo a parlarvi della povera Rosa. —
Gli occhi di Maria si spalancarono a queste parole di miss Ofelia, le pallide sue guance si fecero come di fuoco.
— Ebbene? Che avete da dirmi di colei? — domandò con impeto.
— È dolentissima della sua colpa.
— Davvero? Lo sarà ben più ancora per l’avvenire! È già troppo tempo ch’io sopporto l’impudenza di quella femmina; ora per domarla come si conviene voglio umiliarla, voglio cacciarla nella polvere!
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