XXXII.
LUOGHI TENEBROSI.
Camminando a fatica dietro una rozza carretta, per un’aspra strada, il povero Tom e i suoi compagni proseguivano il loro triste viaggio.
Simone Legrée era seduto sul dinanzi della carretta; le due donne, incatenate sempre l’una all’altra, occupavano, alla rinfusa coi bagagli, la parte posteriore; e tutti insieme movevano verso la piantagione di Legrée, la quale era ancora a una buona distanza.
Quasi ad ogni passo si vedevano schifosi rettili strisciare fra i tronchi spezzati e i rami infranti che ingombravano il suolo e imputridivano nell’umidità.
Una strada siffatta parrebbe triste anche al viaggiatore che la trascorresse di galoppo, con la tasca piena d’oro, per qualche affare importante; ma quanto è più selvaggia e più spaventevole agli occhi del povero schiavo, allorché ciascuno dei suoi stanchi passi lo allontana viepiù dagli oggetti del suo amore e delle sue preghiere!
Chiunque avesse osservato l’espressione di abbattimento di quei neri visi, la paziente stanchezza con cui quei mesti occhi seguivano gli oggetti che l’uno dopo l’altro passavano dinanzi a loro in quel malinconico viaggio, avrebbe compreso il significato delle nostre parole.
Il solo Simone aveva l’aria contenta, specialmente a cagione dell’uso che faceva tratto tratto della fiaschetta d’acquavite che portava in tasca.
— Ehi, dico, — esclamò rivolgendosi indietro e gettando un’occhiata sui cupi visi di coloro che lo seguivano — intonatemi un canto, figliuoli! Suvvia! —
Gli uomini si guardarono gli uni con gli altri, e il suvvia fu ripetuto con uno scoppiettio della frusta che il padrone aveva in mano.
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Tom Legrée Legrée Simone
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