— Non portasti mai orecchini? — domandò egli prendendo con le sue rozze dita il piccolo orecchio della giovane.
— No, padrone, — disse Emmelina tremando e abbassando gli occhi.
— Ebbene, quando saremo giunti a casa, se sarai una buona figliuola, te ne darò un paio. Non ti spaventare; io non voglio che tu lavori poi tanto; starai meco allegramente, e vivrai come una signora, purché tu sia buona e docile. —
Legrée aveva cioncato a tal segno, da inclinar del tutto alla gentilezza; e proprio allora si giungeva in vista della piantagione. La carretta inoltrò, per un viale pieno di ghiaia e di erbe selvatiche, in mezzo ad alberi della Cina, le cui leggiadre forme e le foglie sempre verdi avevano resistito alla negligenza e alla distruzione, simili a quei cuori generosi in cui la bontà ha posto sì profonde radici, che essa vi germoglia e cresce sempre, nonostante lo sconforto e la trascuratezza.
La casa, che per l’addietro aveva appartenuto a un signore ricco e di buon gusto, era ampia e bella. Costruita nello stile in uso nel mezzogiorno, aveva intorno una veranda a due piani, sulla quale si aprivano tutte le porte esterne, e la cui parte inferiore era sostenuta da pilastri di mattoni. Ma tutto aveva un aspetto desolato e triste. Alcune finestre erano otturate con assi, altre avevano i vetri spezzati; le imposte non si tenevano più se non sopra un solo ganghero; tutto insomma annunziava la negligenza e l’abbandono. Frantumi di tavole, paglia, casse vecchie.
Tre o quattro cani di feroce guardatura, accorrenti allo strepito della carretta, vennero a gran balzi incontro ai viaggiatori.
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Emmelina Cina
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