Tom andava cercando invano fra gli schiavi sopraggiunti un viso simpatico. Non vedeva che uomini stizziti, malinconici e per metà brutti; donne infiacchite, scoraggiate, donne che non eran più donne; il più forte che urtava il debole, l’egoismo animalesco e illimitato di creature umane a cui non si richiede né s’ispira un buon sentimento, e che, trattate a guisa di bruti, sono scese al loro livello. Lo strepito dei mulini a braccia s’udiva fino a tardi nella notte, perché essendo troppo ristretto il loro numero in paragone di quello degli affamati, i deboli e gli stanchi erano tenuti indietro dai forti, né potevano avere il loro turno se non dopo di essi.
— Ehi, — disse Sambo, avvicinandosi alla mulatta e gettandole innanzi un sacco di frumento — qual è il tuo maledetto nome?
— Lucy, — rispose la donna.
— Ebbene, dunque, Lucy, tu sei ora mia moglie. Va’ intanto a macinar questo grano, e fammi cuocere la cena, intendi?
— Io non sono vostra moglie né voglio esserlo; — esclamò la povera creatura col subitaneo e fiero coraggio della disperazione — andate via!
— In questo caso sarai frustata, — disse Sambo, e alzò contro di lei un piede minaccioso.
— Potete uccidermi, se volete... e più presto lo farete meglio sarà. Ah, vorrei esser morta!
— Ehi, Sambo, riferirò al padrone che tu sciupi le negre, — disse Quimbo, che era intento a macinare il suo grano, dopo avere con maligna durezza respinto due o tre povere donne spossate che attendevano per macinare anch’esse.
— E io gli dirò che tu impedisci alle donne di macinare il loro grano, vecchio negro!
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Sambo Lucy Sambo Sambo Quimbo
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