Nel corso della giornata Tom si era trovato, lavorando, presso la mulatta già comprata nel suo stesso lotto. Essa, come ben si vedeva, era in uno stato di gran patimento, e Tom la udiva spesso pregare quando, esausta di forze e presa dal tremito, pareva lì lì per cadere a terra.
Tom, avvicinatesi a lei senza far parola, le pose dentro il canestro manate di cotone che toglieva dal suo.
— Oh, non lo fate! — disse la donna guardandolo con maraviglia. — Poi vi troverete scarso di lavoro. —
Appunto allora Sambo era vicino.
Pareva che un odio particolare lo movesse contro quella donna, e scotendo la frusta le disse con voce brutale:
— Che tresca è questa, Lucy? —
E diè un calcio alla donna, col suo scarpone di pelle di vacca, e una frustata sul viso a Tom.
Questi si rimise al lavoro tacitamente; ma la donna, già sfinita di forze, cadde svenuta.
— Ora la farò ben io tornare in sé: — esclamò l’aguzzino con un riso feroce — le applicherò qualche cosa meglio della canfora. —
E tolto dalla manica uno spillo, glielo conficcò nella carne.
La donna cacciò un grido e si sollevò per metà.
— Su, su in piedi! Al lavoro, bestiaccia, o te ne farò vedere di più belle! —
Per alcuni istanti parve ch’ella acquistasse una forza soprannaturale, e lavorò con un’alacrità disperata.
— Continua a questo modo, veh! Altrimenti stasera ti augurerai di morire.
— Oh, fosse ora! — mormorò l’infelice, udita soltanto da Tom; e soggiunse: — O Signore, fino a quando?... O Signore, perché non mi assisti? —
A rischio di una punizione severa, Tom si fece innanzi di nuovo e pose nel canestro della donna tutto il cotone che aveva nel suo.
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