Legrée ben lo vide: ma esclamò con finta collera:
— Che mi porti, bestiaccia? Non vi è il peso. Ritirati da un lato; avrai quel che meriti, e subito.
La donna mandò un gemito di tetra disperazione e si assise sopra una panca.
Colei che era chiamata miss Cassy allora s’avvicinò, e con aria altera e noncurante consegnò il suo canestro. Legrée le volse uno sguardo inquieto e scrutatore. Ella, figgendogli nel viso i neri suoi occhi, borbottò alcune parole in francese. Che cosa disse, niuno lo sa; ma all’udirla il volto di Legrée si atteggiò ad un’espressione che aveva dell’infernale; egli alzò la destra come per batterla; ella lo guardò fieramente e gli volse le spalle.
— Ora vieni qua, Tom; — disse Legrée — sai bene che io non ti ho comprato per porti ad un lavoro comune. Intendo promuoverti, e far di te un ispettore. Sarà dunque meglio incominciar fin da stasera. Ecco, prendi un po’ questa ragazza e dalle una buona dose di frustate. Ne hai veduto quanto basta, e sai bene come si fa.
— Chiedo al padrone mille scuse: — rispose Tom — spero che il padrone non mi metterà a far questo. Non ci sono avvezzo, non lo feci mai, e non saprei farlo.
— Imparerai ben altre cose che non conosci, — disse Legrée.
E tolta da terra una ruvida scarpa, fortemente ne colpì la guancia di Tom, poi seguitò a scaricargli addosso una grandine di percosse.
— Ebbene! — diss’egli nel fermarsi per riprender flato. — Dirai ancora che non puoi?
— Sì, certo, padrone, — rispose Tom, asciugandosi con la mano il sangue che gli grondava dal viso.
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