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      Parecchie tazze furono vuotate con un ardore febbrile.
      — Bevete quanto volete, — diss’ella. — Io ben sapevo che cosa avverrebbe. Non è la prima volta che reco nella notte un po’ d’acqua a persone come voi.
      — Grazie, signora, — disse Tom, dopo avere estinto la sua sete.
      — Non mi chiamate signora. Io sono una misera schiava al pari di voi, più degradata di quanto voi non sarete mai, — diss’ella amaramente. — Ora, — soggiunse nello strascinare dalla porta fin presso a Tom un piccolo pagliericcio coperto di tela inzuppata d’acqua — ora, mio povero amico, procurate di mettervi qui sopra. —
      Fu necessario non poco tempo a Tom per compiere quel traslocamento, a cagione delle ferite e delle ammaccature; ma quando fu sopra il pagliericcio, l’applicazione della tela e dell’acqua fredda sulle sue ferite gli fece provare un gran sollievo. Cassy, da lungo tempo abituata a soccorrere le vittime della brutalità, conosceva alcuni mezzi curativi; medicò le piaghe di Tom, e questi riprese alquanto le forze.
      — Ecco, — disse la donna dopo aver sollevato il capo di Tom ed appoggiatolo sopra una balletta di cotone guasto accomodata come un guanciale — ecco tutto il meglio che io possa fare per voi. —
      Tom la ringraziò. La donna sedette a terra e, con ambe lo braccia raccolte intorno alle ginocchia, lo contemplava in silenzio, ma con espressione di profondo cordoglio. Il fazzoletto che le avvolgeva il capo le cadde sulle spalle, e le lunghe ciocche della sua nera capigliatura ondeggiarono intorno alla sua singolare e malinconica faccia.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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