«Un giorno io passavo dinanzi alla Calahouse; vidi un crocchio di gente alla porta di quel carcere, udii la voce di un fanciullo; e nell’istante medesimo Enrichetto, il mio Enrichetto, scappando di mano a due o tre uomini che si sforzavano di tenerlo, si scagliò addosso a me, strillando e avviticchiandosi alle mie vesti.
«Coloro vennero a me proferendo bestemmie orribili, e uno di essi, la cui faccia non scorderò mai, mi disse che non intendeva di lasciarselo fuggir di mano, e che gli avrebbe dato un buon ricordo. Mi provai a supplicare, ad implorar pietà; risero di me. Il povero fanciulletto piangeva, mi guardava con aria supplichevole, e si stringeva al mio fianco. Lo strapparono, strappando con lui una parte delle mie vesti, e lo trascinarono via mentre egli strillava con voce lamentevole e disperata:
«— Oh, mamma, mamma! —
«Fuori di me corsi a casa. Mi pareva ad ogni passo di udire i gemiti del figlio mio. Trovai Butles nella sala; lo pregai fervidamente a interporsi affinché il mio figlioletto non fosse martoriato con la frusta: egli si pose a ridere, dicendo che ben gli stava, che era d’uopo alfine domarlo interamente, e che più presto era, meglio era. E soggiunse:
«— Che sperate da me? —
«In quell’istante mi parve che qualche cosa nella mia testa si spezzasse. Caddi in un delirio di furore. Mi rammento che vidi sulla tavola un grosso coltello da caccia, che l’afferrai, e che con esso mi avventai contro lui. Tutto divenne oscuro da quell’istante, e più non seppi altro per parecchi giorni.
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