E quanto somigliava al mio Enrichetto! Ma io ero risoluta, sì, risoluta di non lasciar vivere alcuno dei figli dei quali avrei potuto ancora esser madre, fino a divenir grandicello; perciò due settimane dopo la sua nascita, io presi il poverino tra le mie braccia, lo baciai e lo ribaciai bagnandolo delle mie lacrime, poi gli diedi dell’estratto d’oppio, e sul mio seno egli s’addormentò e morì!
«E allora, come lo piansi e quali grida non alzai sulla sua piccola spoglia! Chi non avrebbe pensato ch’io gli avessi dato quel mortifero liquore per sbaglio? E invece non v’è forse altra cosa della mia vita che io goda più d’aver fatta. Sì, ne sono contenta; che cosa potevo dargli di meglio che la morte, povero bimbo mio?...
«Poco dopo il colera sopraggiunse e il capitano Stuart morì; tutti coloro che avevan cara la vita morirono; ed io, io, quantunque fossi alle porte del sepolcro, io vissi!... E allora fui di nuovo venduta, e passai da uno all’altro padrone; avvizzii, invecchiai per febbri, per patimenti, finché giunse questo sciagurato, mi comprò e mi condusse seco. Ed ecco come mi trovo qui! —
La donna tacque. Nel narrare la sua storia, ora si rivolgeva a Tom con l’eloquenza più appassionata, ora parlava seco stessa, come se fosse sola. La sua parola era improntata di tanta passione, di tanta forza, che Tom dimenticava talvolta lo spasimo delle proprie ferite, e, sollevandosi sul gomito, la seguiva con lo sguardo, mentre ella, irrequieta, passeggiava per la stanza, e scoteva sulle spalle la nera chioma.
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