Perdizione!... Sono solo! Voglio chiamare Emmelina. Essa mi detesta... la monachella! Che importa a me? La voglio qui.
Uscito dalla sala, egli si trovò in una vasta anticamera donde ascendeva una scala a chiocciola.
Legrée si fermò a pie di quella udendo cantare una voce, cosa che gli parve strana e fantastica a quell’ora ed in quella vecchia, desolata abitazione.
— Udite! Chi canta? —
Una voce incolta ma patetica cantava un inno comune fra gli schiavi:
«Oh, quante lacrime la terra avrà
Quando a noi, giudice, Cristo verrà!»
— Ragazza maledetta! — esclamò Legrée. — Voglio strozzarla. Emmelina! Emmelina! — gridò aspramente.
Ma ebbe un bel chiamare: l’eco sola gli rispondeva in suono beffardo. E la voce soave continuò:
«Ahi, scarso il numero fia degli eletti!
Saranno i reprobi qual vasto mar.
Fra le dolci anime, fra i cari petti,
Ogni bel vincolo si dee spezzar.»
E più chiaro e vibrato udivasi per le stanze deserte il ritornello:
«Oh, quante lacrime la terra avrà
Quando a noi, giudice, Cristo verrà!»
Legrée si fermò, e ben si sarebbe vergognato di dirlo, ma grosse gocce di sudore gli cadevano dalla fronte, ed il cuore gli palpitava con grandissima veemenza.
Egli credette anche di scorgere un’ombra bianca che si sollevava con una smorta luce nella camera, e lo prese un brivido al pensare che gli potesse a un tratto apparire lo spettro di sua madre.
— Olà, — disse Legrée battendo il piede e fischiando ai suoi cani — svegliatevi, su, e tenetemi un po’ di compagnia. —
Ma i cani aprirono appena gli occhi sonnolenti, e subito li richiusero.
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