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      Bisogna pur avere qualche cosa. Dopo averla bevuta, qualunque cosa avvenga non vi parrà più tanto terribile.
      — Mia madre era solita dirmi che non bisogna ber mai bevande spiritose.
      — Vostra madre ve lo diceva! — esclamò Cassy, pronunziando con amara enfasi la parola di madre. — A che giovano le esortazioni materne? Voi foste comprata e pagata, e l’anima vostra appartiene al vostro possessore. Così va il mondo. Credete a me, bevete dell’acquavite, bevetene a più non posso, e ciò vi renderà più agevole ogni cosa.
      — Oh, Cassy, abbiate compassione di me!
      — Compassione di voi? Non la sento forse? Non ho io una figlia? Dio sa dov’essa è ed a chi ora appartiene. Essa cammina sulle orme di sua madre, suppongo, ed i suoi figli la seguiranno del pari. È una maledizione che non avrà mai fine.
      — Vorrei non esser nata! — disse Emmelina stringendosi fortemente le mani.
      — Questo è in me un antico desiderio, — riprese Cassy — che divenne ormai un’abitudine. Io morrei se ne avessi il coraggio, — diss’ella fissando gli occhi nell’ombra con quella tetra calma di un dolor disperato, che era diventata la sua consueta espressione.
      — Oh, il suicidio è un peccato! — esclamò spaventata Emmelina.
      — Non so perché, non mi par cosa sì empia come tante altre che facciamo ogni giorno. Ma quando io ero in convento, le suore mi dicevano cose tali, che mi fanno temere la morte. Se almeno ella fosse il fine di noi, allora... —
      Emmelina si voltò altrove e si nascose il viso con le mani.
      Mentre le due donne conversavano tra loro, Legrée, sopraffatto dalla crapula, si era addormentato nella camera sottostante.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Cassy Cassy Emmelina Cassy Emmelina Legrée