Si alzò poi dinanzi a’ suoi occhi la solenne figura velata, e si trasse il velo da un lato. Era sua madre. Si allontanò da lui, e cadde giù giù, nel profondo, in mezzo a un frastuono confuso di grida, di lamenti, di risa sgangherate, infernali... e Legrée si svegliò.
La rosea tinta dell’aurora penetrava tranquillamente nella sua camera. La stella mattutina, adorna del solenne, divino suo raggio, guardava, da un cielo serenissimo, sul figlio della colpa. Oh, come il sollevarsi del giorno è circondato di maestà e di bellezza, quasi volesse dire all’uomo insensato: «Contempla, tu hai ancora una speranza! Soffri per la gloria immortale!» Questa voce si manifesta in tutte le lingue; soli il superbo e il malvagio non son capaci d’intenderla.
Legrée si destò con una bestemmia e una maledizione. Che erano per lui l’oro e la porpora del sole nascente? Che gl’importava della splendidezza di quell’astro che il Figliuolo di Dio ha quasi fatto suo emblema? Simile a un bruto, egli vedeva senza comprendere; si levò vacillando, si mescé un bicchiere d’acquavite e ne bevve la metà.
— Che notte d’inferno ho passata! — diss’egli a Cassy che entrava dall’uscio opposto.
— Ne avrete di simili per molto tempo, — rispose ella rudemente.
— Che vuoi dire, strega?
— Lo saprete uno di questi giorni! — rispose Cassy con accento eguale. — Per ora, Simone, avrei un piccolo consiglio da darvi.
— Eh, va’ alla malora!
— Il mio parere è — disse la donna con fermezza, mentre rimetteva in ordine le cose della sala — che lasciate tranquillo Tom.
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