Suvvia, non ti par meglio di essere ragionevole una volta? Orsù, getta nel fuoco quel vecchio fascio di carta, e riunisciti alla mia chiesa.
— Dio me ne guardi! — esclamò con fervore Tom.
— Tu vedi bene che Dio non si muove per aiutarti. Se un Dio vi fosse, non avrebbe consentito che tu cadessi nelle mie mani. Cotesta tua religione non è che un cumulo di frodi. Me ne intendo, io! Faresti meglio a badare a me. Io son qualcuno, e posso far qualche cosa.
— No, padrone: — rispose Tom — io mi terrò fermo al Signore. Mi aiuti Egli o no, ricorrerò sempre a Lui, e crederò in Lui fino all’ultimo fiato.
— Tanto peggio per te! — disse lo stolto e brutale uomo, sputandogli in viso e respingendolo col piede. — Non dubitare, ti farò io abbassar la fronte e starmi soggetto; vedrai! — Così dicendo Legrée gli voltò le spalle. Quando un peso tremendo opprime l’anima fino al grado a cui può giungere l’umana pazienza, v’è un istante in cui uno sforzo disperato d’ogni nervo fisico e morale tenta di respingere quel peso da sé; perciò spesso accade che le più crudeli angosce precedono un riflusso di gioia e di coraggio.
Così avvenne per Tom. Gli empi dileggi del barbaro padrone abbatterono totalmente l’anima sua scoraggiata, e benché la sua mano stringesse ancora l’eterna roccia della fede, era uno sforzo ultimo e disperato.
Tom sedeva come stupido presso al fuoco. A un tratto ogni cosa intorno a lui sembrò dileguarsi, ed egli ebbe una visione dell’Uomo coronato di spine, oltraggiato e sanguinante.
Tom stava ammirando con trepida venerazione la maestosa pazienza di quel viso, e il tenero sguardo di quegli occhi agitò il cuore di lui fino al fondo.
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