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      Egli cadde ginocchioni, con le mani protese alla visione celeste, e sentì l’anima sua ridestarsi. La visione gradatamente cambiò; le acute spine si mutarono in raggi di gloria, e tra uno splendore ineffabile egli vedeva quello stesso volto abbassarsi verso lui, pieno di commiserazione, e quindi intese una voce: «Quegli che vincerà sederà meco sul mio trono, come io vinsi e siedo sopra il trono del Padre mio».
      Alzò indi gli occhi a quelle silenziose invariabili stelle, immagini dei custodi angelici dagli sguardi sempre inclinati verso l’uomo, e la solitudine della notte risonò delle trionfali parole di un inno che per l’addietro, in più felici giorni, egli aveva cantato, non mai però con tal forza di sentimento;
     
      «Fia disciolta la terra qual neve,
      Di risplendere il sol cesserà,
      ma quel Dio che lassù mi riceveMio tesoro in eterno sarà.
     
      Quando, tronco di vita lo stame,
      Più non battano i polsi ed il cor,
      M’è concessa, oltre il denso velame,
      Una vita di pace e d’amor.
     
      Si vedrai cento secoli e centoSopra l’alme felici passar,
      E il Dio sommo che tutto ha redentoTornerem più festosi a lodar.»
     
      Coloro che conoscono i costumi religiosi degli schiavi, sanno come frequentemente succedano fatti simili a quello testé raccontato. Noi anzi ne raccogliemmo dalla loro bocca dei commoventissimi.
      La psicologia ci parla d’uno stato in cui le commozioni e le immagini della mente predominano con tal potenza, da ridurre in loro signoria i sensi e far loro dare forme tangibili alle ideali rappresentazioni interne.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





Padre Dio Dio