Ognuno s’avvide di questo cambiamento. Egli aveva riacquistato la sua operosità e l’allegria di prima, e con esse una tranquillità che né le villanie né le ingiurie potevano turbare o rapirgli.
— Che diamine è accaduto a Tom? — disse Legrée a Sambo. — Pochi giorni fa stava tutto mogio e melenso, ed ora è vispo come un grillo.
— Non so, padrone; — rispose Sambo — forse egli pensa a svignarsela.
— Avrei caro che lo tentasse, — esclamò Legrée con un ringhio selvaggio. — Eh, Sambo, se lo tentasse!...
— Ah, per questo, davvero! — rispose l’orribile gnomo. — Che festa! Vederlo affondarsi nel fango e aggrapparsi ai cespugli, coi cani alle calcagna! Fui già vicino a crepar dalle risa quando raggiungemmo Molly! Credevo che i cani l’avrebbero fatta a pezzi prima che potessi allontanarli. Essa porta ancora i segni dei loro denti.
— E li porterà finché vive! — replicò Legrée. — Adesso, Sambo, sta’ all’erta, spalanca bene gli occhi, e se questo negro tenta qualche cosa di simile, dagli tosto il gambetto.
— Il padrone lasci fare a me: io saprò cogliere la lepre! —
Questo dialogo succedeva mentre Legrée montava in sella per recarsi alla città vicina; tornato a sera, Legrée pensò di fare un giro nei quartieri per esaminare se ogni cosa era in ordine.
Faceva un bellissimo chiaro di luna; le ombre del grazioso fogliame dell’albero di Cina si disegnavano nettamente sulle zolle fiorite, e il cielo aveva quella soave serenità che pare un delitto turbare.
Mentre Legrée s’avvicinava ai quartieri, gli giunse un canto agli orecchi.
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