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Per quale strana facoltà della nostra mente avviene che un’idea lungamente ruminata, e poi messa sotto i piedi come un oggetto di nessun valore, brilli improvvisamente d’una nuova luce, come un diamante per chi di subito lo scuopra?
Cassy aveva spesso consumato ore ed ore a immaginar progetti di fuga, e li aveva sempre posti da un lato come impraticabili; ma in quell’istante le balenò attraverso la niente il disegno più semplice, più agevole ad effettuarsi in ogni sua parte, e le si ridestò la speranza molto viva.
— Tenterò, zio Tom! — esclamò a un tratto la donna.
— Così sia! — disse Tom. — Iddio vi aiuti. —
XXXIX.
LO STRATTAGEMMA.
La soffitta della casa occupata da Legrée era, come molte altre soffitte, un vasto locale polveroso, tappezzato di ragnateli e ingombro di casse e di vecchie suppellettili. La ricca famiglia che aveva abitato quella casa nei tempi del suo splendore, vi aveva trasportato molti arredi di lusso, una parte dei quali n’era stata ritolta alla partenza dei proprietari, e parte ammuffivano entro stanze deserte o in soffitta. Due o tre casse enormi, nelle quali erano state trasportate le suppellettili di casa cui abbiamo accennato, si vedevano ritte contro il muro. Uno stretto abbaino lasciava penetrare, attraverso i sudici vetri, una pallida e incerta luce sopra antichi seggioloni di alta spalliera, su tavole coperte di polvere che avevano visto giorni migliori. In complesso era un luogo che pareva acconcio alle stregonerie, né mancavano leggende fra i negri superstiziosi per aumentarne i terrori.
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Tom Tom Legrée
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