Alcuni anni prima, una negra che aveva incorso la disgrazia di Legrée vi era stata rinchiusa per parecchie settimane. Ciò che quivi accadde noi non lo diciamo; i negri ne parlavano fra loro sommessamente; ma ognuno era consapevole che un giorno il cadavere dell’infelice fu portato via di colà e sepolto. Correva voce che da allora in poi colpi violenti, imprecazioni, urli misti a gemiti e grida disperate risonassero in quel luogo. Pervenute una volta per caso tali dicerie all’orecchio di Legrée, egli montò in gran collera e giurò che il primo a ripeterle avrebbe occasione di saperne qualche cosa di più, perché ve lo rinchiuderebbe per una settimana. Quest’avvertimento bastò a imporre silenzio, ma non tolse affatto il credito alle strane cose che si spacciavano.
A poco a poco tutti i famigli presero l’abitudine di evitare la scala a chiocciola della soffitta ed anche il corridoio che metteva a quella scala; e siccome inoltre tutti evitavano di farne parola, la leggenda, col trascorrer dei mesi, cadde in dimenticanza. Era balenata di repente a Cassy l’idea di approfittare della superstizione, che era sì potente nell’animo di Legrée, per riuscire alla propria liberazione e a quella della sua compagna di patimenti.
La sua stanza era appunto sotto la soffitta. Un giorno, senza parlarne a Legrée, ella fece trasportare con ostentazione e grande strepito tutti i mobili dalla sua camera in un’altra che era a non breve distanza. Gli sguatteri che essa aveva chiamati a far quello sgombero correvano e si affaccendavano con grande zelo e subbuglio, quando Legrée tornò da una cavalcata.
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