Legrée aveva passato alcune ore ad assestare i suoi conti e a leggere le gazzette, mentre Cassy, seduta in un angolo, teneva fisso lo sguardo malinconico nel fuoco. Legrée gettò via il giornale, prese sulla tavola un vecchio libro che Cassy aveva letto in parte la sera, e si diè a scorrerlo attentamente. Era una raccolta di narrazioni di atroci delitti, di leggende fantastiche, d’apparizioni soprannaturali, che ornata e spiegata con incisioni esercitava un prestigio strano su chi la leggeva. Legrée borbottava con disprezzo, ma pur leggeva, voltando le pagine, finché dopo aver letto un poco, gettò il libro a terra con una bestemmia.
— Tu non credi agli spiriti, non è vero, Cassy? — diss’egli prendendo le molle per aggiustare il fuoco. — Io pensavo che tu avessi bastante giudizio per non lasciarti spaventare da rumori di questa sorta.
— Che v’importa di ciò che io credo? — riprese Cassy con asprezza.
— Sul mare i miei compagni volevano atterrirmi coi loro racconti; ma non poterono mai darmela ad intendere; io sono di corteccia troppo dura per lasciarmi intaccare da simili fandonie. —
Cassy, seduta nell’ombra, guardava fisso Legrée. I suoi occhi scintillavano di quella strana luce che sempre faceva in Legrée un’incresciosa impressione.
— I rumori che sentisti, — diss’egli — non erano altro che i topi e il vento. I topi possono fare un rumore diabolico. Io li sentii più volte nella stiva del vascello. E il vento... eh, c’è ogni varietà di suoni nel vento! —
Cassy sapeva bene che il suo sguardo conturbava Legrée.
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