Legrée tornò, fuggendo come un pazzo, nella sala dove dopo alcuni istanti Cassy lo raggiunse pallida ma calma in volto come uno spirito vendicatore, con gli occhi sempre lampeggianti di sinistra luce.
— Spero che siate contento, ora! — diss’ella.
— Il diavolo ti porti!
— E perché? Io sono andata su unicamente per chiudere gli usci. Ma che cosa credete che succeda in soffitta, Simone?
— Nulla di cui tu debba impacciarti.
— Davvero? — riprese Cassy. — Ad ogni modo, io sono ben contenta di non dormir più lì sotto.
Prevedendo che il vento si sarebbe levato quella notte, Cassy era salita ad aprire la finestra della soffitta. Naturalmente, aperti gli usci, una forte corrente d’aria s’era precipitata giù e aveva spento il lume.
Questo fatto può dare un esempio del giuoco che l’astuta schiava giocava contro Legrée, il quale avrebbe oramai piuttosto cacciato la testa nelle fauci d’un leone, che esplorato quella soffitta là. Intanto, durante la notte, mentre tutti dormivano, ella vi andava accumulando a poco a poco una provvisione di viveri sufficiente a sostentare sé e la sua compagna per un certo tempo; così pure vi portò, un pezzo alla volta, la maggior parte degli oggetti di vestiario d’Emmelina e suoi. Preparato ogni cosa, esse non aspettavano più che un’occasione favorevole.
Prendendo con le buone Legrée, e profittando degl’intervalli di lieto umore, Cassy aveva ottenuto di accompagnarlo alla vicina città, ch’era situata sul fiume Rosso. Con uno sforzo di memoria non comune, essa notò ciascuna svolta della via, e calcolò fra sé il tempo che occorreva per farne il tragitto.
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