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Tre o quattro uomini a cavallo caracollavano dinanzi alla casa, e due mute di cani forestieri, sforzandosi di scappare ai negri che li tenevano, guaivano e abbaiavano gli uni contro gli altri. Cassy avvicinò l’orecchio alla finestrella, e siccome spirava il venticello del mattino, le riuscì di ascoltare gran parte dei loro discorsi. Un sorriso di profondo disprezzo parve infocasse viepiù il suo grave e severo aspetto all’udire che si dividevano il terreno, discutevano sul merito dei loro cani, davano ordini sul modo di tirare e sul castigo che, in caso di buona riuscita, ciascuna avrebbe a subire.
Cassy, ritiratasi dall’abbaino, congiunse le mani e alzando gli occhi esclamò:
— Gran Dio onnipotente, noi siamo tutti peccatori! Ma che cosa abbiamo fatto di più degli altri uomini, per esser trattate in tal guisa? —
E nella fisonomia e nella voce di Cassy era una serietà terribile mentre pronunziava queste parole.
— Se non fosse per voi, — diss’ella a Emmelina — io andrei a loro e l’ingrazierei quello che m’atterrasse con un colpo di fucile; poiché qual vantaggio avrò io a esser libera? Potrò riavere i miei figli, o tornare come ero una volta? —
Emmelina, nella sua semplicità infantile, rimaneva quasi atterrita dal fosco umore di Cassy. Tutta incerta, e non sapendo che cosa dovesse risponderle, la prese per la mano in atto amoroso e carezzevole.
— Lasciatemi; — disse Cassy ritirando la mano con impeto — voi mi costringete ad amarvi, ed io non voglio amar più nessuno.
— Mia buona Cassy, — esclamò Emmelina — non dite così, ve ne prego!
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Dio Cassy Emmelina Cassy Cassy Cassy Emmelina
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