— Lo abbiamo quasi finito, padrone, — disse Sambo, tocco mal suo grado dalla pazienza della vittima.
— Batti fino a che ceda. Colpisci, colpisci senza pietà! — vociferò Legrée. — Io gli trarrò l’ultima goccia di sangue, se non fa una rivelazione. —
Tom riaprì gli occhi e guardò il padrone.
— Povera infelice creatura! — diss’egli. — Ecco tutto ciò che potete fare! Io vi perdono con tutta l’anima. — E svenne.
— Credo che finalmente sia spacciato, — disse Legrée, avvicinandosi per guardarlo. — Sì, lo è. Oh, la sua bocca è chiusa finalmente! È proprio una consolazione! —
Ma chi, o Legrée, farà tacere quella voce nell’anima tua, in quell’anima impenitente che non conosce né preghiera né speranza, e nella quale arde già il fuoco inestinguibile?
Ma Tom non era ancora morto. Le sue parole mirabili e le pie preghiere avevano toccato il cuore dei negri abbrutiti che erano stati gli strumenti delle crudeltà di Legrée, e mentre questi si allontanava, essi gli furono attorno, e nella loro ignoranza si studiavano di richiamarlo in vita, come se fosse stato per lui un beneficio.
— È certo — disse Sambo — che noi abbiamo fatto una cosa orribile. Spero che solo il padrone avrà da renderne conto. —
Lavarono le sue ferite, gli acconciarono alla meglio un letto con un po’ di cotone scartato, poi uno di essi andò in casa e chiese a Legrée un sorso d’acquavite, di cui diceva aver bisogno per ristorar le sue forze, e venne a versarlo nella bocca di Tom.
— O Tom, — disse Quimbo — noi siamo stati molto barbari con te.
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