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      Per ragioni facili a indovinarsi, le storielle di spiriti e fantasmi si propagarono in questo frattempo più del solito fra, i servi di Legrée; si asseriva sommessamente che nel silenzio della notte era stato udito un rumore di passi su per la scala della soffitta e poi in tutta la casa. Invano avevan chiuso a catenaccio la porta dei piani superiori: il fantasma aveva doppia chiave in tasca, oppure si giovava del privilegio, del quale gli spiriti godono da tempo immemorabile, di passare attraverso il buco della serratura, e passeggiava come per l’innanzi con una libertà da sgomentare.
      Le opinioni discordavano circa la forma esteriore dello spirito. E ciò proveniva dall’uso che hanno i negri, e qualche volta i bianchi, di chiudere gli occhi e cacciar la testa sotto le coperte quando si offra alla loro vista uno spirito. Naturalmente, come ognun sa, quando gli occhi del corpo si trovano in quello stato, gli occhi della mente hanno un’acutezza non comune. Per conseguenza si faceva gran numero di ritratti del fantasma, tutti accertati per veri; ma come spesso avviene in tali cose, nessuno di quei ritratti rassomigliava all’altro, eccetto che nel segno caratteristico della famiglia degli spiriti: il lungo lenzuolo bianco. Quei poveri schiavi non erano versati nella storia antica, altrimenti avrebbero saputo che Shakespeare ne determinò la foggia del vestire dicendo come:
     
      «I morti in bianco linoIvan gemendo por le vie di Roma
     
      Una tal coincidenza delle opinioni di Shakespeare e dei negri è un fatto notevole di pneumatologia che noi ci facciamo lecito di raccomandare all’attenzione dei dotti.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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