— E ora, — disse bestemmiando — mi rido del diavolo e dei suoi agenti. —
Andò a letto e dormì.
Dormi, perché era stanco. Dormì profondamente; ma un’ombra venne, in sogno, su lui; un brivido, un’apprensione di qualche cosa di spaventevole che stava sospeso sul suo capo. Credette fosse il lenzuolo funebre di sua madre; ma era Cassy che lo teneva sollevato e lo agitava dinanzi a lui.
Egli udiva un rumore confuso di grida e di gemiti, e, in mezzo a tutto ciò, si accorgeva di dormire e faceva sforzi per svegliarsi; finalmente si svegliò a metà. Egli era certo che qualcuno entrava nella sua camera, e che l’uscio si apriva a poco a poco; ma non poteva muovere né le mani né i piedi. Da ultimo gli riuscì pure di voltarsi, e vide e rabbrividì: l’uscio era aperto, e una mano spengeva la lampada.
Al fioco raggio della luna velata di nubi, egli vide qualche cosa di bianco che si dileguava. Poi udì il leggero fruscio delle vesti del fantasma, e questo fantasma si teneva immobile vicino al suo letto; una mano gelida lo toccò; una voce mormorò per tre volte, con un accento lugubre e misterioso:
— Vieni! Vieni! Vieni! —
E mentre egli giaceva là sudando di terrore, quella cosa, non sapeva come, era scomparsa. Egli balzò fuori del letto e andò a scuotere l’uscio: era chiuso a chiave. L’uomo rabbrividì e stramazzò.
D’allora in poi Legrée si diè alla crapula più di prima: beveva all’impazzata e senza freno.
Ben presto nel paese vicino si propagò la notizia che Legrée era ammalato e moribondo. Gli stravizi gli avevano fruttato quella terribile infermità che i medici chiamano delirium tremens e che sembra gettar sulla vita presente le luride ombre della retribuzione futura.
| |
Cassy Legrée Legrée
|