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      Una nazione ha il diritto di discutere, di far rimostranze o preghiere, e di perorar la causa della propria razza: ma non lo ha un individuo.
      «Se l’Europa diviene una confederazione di nazioni libere, come spero in Dio che sarà, se un giorno la servitù e le ingiuste e oppressive disuguaglianze sociali spariscono, se le altre nazioni, imitando la Francia e l’Inghilterra, riconoscono la nostra indipendenza, allora noi difenderemo innanzi al congresso dei popoli la causa della nostra razza schiava e sofferente. E poi non è possibile che la libera ed assennata America non brami cancellare dal suo stemma l’infausto segno di bastardume che la disonora agli occhi delle nazioni, e che è una maledizione per essa non meno che per i suoi schiavi.
      «Ma voi mi direte che noi abbiamo lo stesso diritto di fonderci nella repubblica americana, quanto gl’Irlandesi, i Tedeschi, gli Svedesi. Ne convengo; ma noi dovremmo esser liberi d’incorporarci alla nazione, di prendervi posto secondo il nostro valore individuale, senza considerazione di casta e di colore! E chi nega a noi questi diritti, smentisce i principii da lui professati nell’uguaglianza umana. Qui agli Stati Uniti soprattutto importerebbe che noi avessimo non solo diritti uguali agli altri cittadini, ma qualche cosa di più, perché noi abbiamo più che il diritto comune: abbiamo i diritti d’una razza conculcata a cui si deve una riparazione. Ma io non voglio questo; voglio un paese, una nazione mia propria. Penso che la razza africana o dotata di attitudini che devono essere sviluppate dalla luce del Cristianesimo e della civiltà, e che, diverse da quelle della razza anglo-sassone, potrebbero moralmente essere superiori.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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