— Sopra la sua tomba, amici miei, giurai davanti a Dio di non possedere più un solo schiavo, quando mi fosse possibile di emanciparli, al fine di non esporre più alcuno ad essere separato dalla sua famiglia e da’ suoi amici, e a morire, come lui, in una remota piantagione. E perciò, quando godrete della vostra libertà, ricordatevi che siete debitori a quell’anima buona, e ricambiatelo con la vostra tenera affezione per sua moglie e per i suoi figliuoli. Pensate alla vostra emancipazione tutte le volte che rivedrete la capanna dello zio Tom; essa vi rammemori il bell’esempio da lui lasciatovi, e vi sproni ad essere, al pari di lui, onesti e fedeli cristiani. —
XLV.
CONCLUSIONE.
Spesso giunsero all’autrice lettere da varie parti che le domandavano se questo racconto fosse vero o no.
A queste domande essa darà una risposta generale.
I singoli incidenti che lo compongono sono della più grande autenticità; molti di essi avvennero sotto gli stessi suoi occhi o sotto quelli dei suoi amici. Essa o gli amici suoi studiarono pure in natura quasi tutti i caratteri delineati nel racconto, e molti dei discorsi sono parola per parola come essa li udì, o come da altri le furono riferiti.
Elisa, quale ne è dipinto il fisico e il morale, è un ritratto dal vero. L’incorruttibile fedeltà, la pietà e l’onoratezza di Tom, hanno più di un modello che l’autrice conobbe. Alcuni degl’incidenti più tragici e più romanzeschi, alcuni dei più terribili, sono egualmente copie della realtà. Quello d’una madre che traversò il fiume Ohio sopra il ghiaccio è un fatto notissimo.
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