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      Il successo non era arriso nemmeno a lui. Qualche giuria, respingendo i suoi bozzetti, ne aveva lodata questa o quella parte, ma nessun suo lavoro aveva trovato posto su qualcuna delle tante piazze d'Italia. Egli però non aveva mai sentito l'abbattimento dell'insuccesso. S'accontentava del consenso di qualche singolo artista ritenendo che la propria originalità dovesse impedirgli il successo largo, l'approvazione delle masse, e aveva continuato a correre la sua via dietro a un certo ideale di spontaneità, a una ruvidezza voluta, a una semplicità o, come egli diceva, perspicuità d'idea da cui credeva dovesse risultare il suo «io» artistico depurato da tutto ciò ch'era idea o forma altrui. Non ammetteva che il risultato del suo lavoro potesse avvilirlo, ma i ragionamenti non lo avrebbero salvato dallo sconforto, se un successo personale inaudito non gli avesse date delle soddisfazioni ch'egli celava, anzi negava, ma che aiutavano non poco a tener eretta la sua bella figura slanciata. L'amore delle donne era per lui qualcosa di più che una soddisfazione di vanità ad onta che, ambizioso, prima di tutto, egli non sapesse amare. Era il successo quello o gli somigliava di molto; per amore dell'artista le donne amavano anche l'arte sua che pure era tanto poco femminea. Così, avendo profondissima la convinzione della propria genialità, e sentendosi ammirato e amato, egli conservava con tutta naturalezza il suo contegno di persona superiore. In arte aveva dei giudizi aspri e imprudenti, in società un contegno poco riguardoso.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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