Ma egli non sapeva spiegarsi. Come poteva dare un'idea di quella serata alla sorella non parlandole dei baci d'Angiolina?
Ma mentre egli ripeteva: – Quale luce, quale aria! – ella indovinava sulle sue labbra le tracce dei baci ai quali egli pensava. Odiava quella donna che non conosceva e che le aveva rubata la sua compagnia e il suo conforto. Ora ch'ella lo vedeva amare come tutti gli altri, le mancava l'unico esempio di volontaria rassegnazione allo stesso proprio triste destino. Tanto triste! Si mise a piangere, da prima con delle lagrime silenziose che cercava di celare sul lavoro, poi, quando egli di quelle lagrime s'accorse, con singhiozzi impetuosi che invano tentò di reprimere.
Cercò di spiegare quelle lagrime: era stata indisposta tutto il giorno, non aveva dormito la notte precedente, non aveva mangiato, si sentiva molto debole.
Egli senz'altro le credette: – Domani se tu non stessi meglio, chiameremo il dottore.
Allora al dolore d'Amalia s'aggiunse l'ira che egli così leggermente si lasciasse ingannare sulla causa delle sue lagrime; quella era la prova della più completa indifferenza. Non ebbe più ritegno, e gli disse che lasciasse stare il dottore perché per quella vita ch'ella faceva non valeva la pena di curarsi. Per chi viveva e perché? Visto ch'egli non voleva ancora comprendere e la guardava estatico, ella disse tutto il proprio dolore: – Neppur tu hai più bisogno di me.
Egli, certo, non capì, perché invece di commuoversi s'adirò: egli aveva passata la sua gioventù solitario e triste; era troppo giusto che di tempo in tempo s'accordasse qualche svago.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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Angiolina Amalia Neppur
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